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Il Challenger e la maestrina nello spazio, un sogno infranto in 73 secondi

Il 28 gennaio del 1986, a soli 73 secondi dal lancio l’intero complesso Orbiter+SRB+EXTERNAL TANK, si trasformò in una nube incandescente di ossigeno e idrogeno. Le immagini di quell’esplosione sono ancora vivide nella mia memoria e credo in quella di tutti coloro che assistettero alle trasmissioni televisive dei notiziari.
Non si trattò però di un’esplosione vera e propria. In breve, una guarnizione in gomma (O-ring) del booster di destra, chiamato SRB, perdendo le sue caratteristiche elastiche per l’estremo freddo a cui era stata sottoposta da giorni, cedette e permise l’apertura di una falla che scatenò una serie di rapidi eventi in successione.
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Il computer di assetto dello shuttle si trovò a gestire sollecitazioni tremende e un fortissimo vento relativo laterale. Il serbatoio esterno, già compromesso dalle fiamme e dall’apertura di falle sulla sua incamiciatura si ruppe. Gli SRB si staccarono dal resto della struttura e l’orbiter si venne a trovare in una posizione aereodinamicamente insopportabile. Le forze esercitate sulla navetta furono così tremende da disintegrare ogni cosa.
Gli SRB vennero fatti esplodere a distanza per motivi di sicurezza.
Dai dati raccolti risultò che l’equipaggio, al momento dell’impatto con l’acqua, arrivò vivo, ma incosciente.
A bordo, come molti ricorderanno, c’era anche Christa McAuliffe, la prima maestrina astronauta nell’ambito di un programma che prevedeva appunto di portare nello spazio un insegnante. Insieme a lei persero la vita altri 6 astronauti:
(in basso): Michael John Smith, Dick Scobee e Ronald McNair (seconda fila da sinistra a destra): Ellison Onizuka, Christa McAuliffe, Gregory Jarvis e Judith Resnik.
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La tragedia gettò la NASA nel caos più totale. Il veterano dello spazio, nonché uno dei 12 moonwalker, John Young (Apollo 16), fece parte della commissione d’inchiesta chiamata ad indagare sull’incidente. Fu uno degli attori più critici e determinanti per lo svolgimento dell’inchiesta e del conseguente riorganizzamento della NASA, che solo due anni dopo poté tornare a lanciare astronauti a bordo di navette Shuttle.




Apollo 1 – 50 anni fa la tragedia

Era il 27 gennaio del 1967, esattamente 50 anni fa. Tre uomini, tre astronauti, il primo equipaggio per la nuova capsula Apollo, perirono a causa di un incendio scoppiato improvvisamente durante la missione Apollo 1 (ex Apollo 204).
Virgil “Gus” Grissom, Ed White e Roger Chaffee, furuno i primi tre astronauti americani a morire nell’ambito di un programma spaziale NASA.
L’incidente di Apollo 1 fu provocato da una serie di sfortunati eventi a catena. In breve, l’atmosfera all’interno della capsula, costituita da ossigeno puro e portata a 14kpa sopra la pressione atmosferica terrestre, accelerò e amplificò l’incendio, innescato da una scintilla elettrica partita da un cavo di rame rimasto privo della propria guaina isolante per l’usura generata dalle continue aperture e chiusure del portello di entrata.
Tutti i materiali all’interno della capsula avevano proprietà ignifughe, ma non per le condizioni che erano state create in cabina, appunto, l’ossigeno puro e la pressione così alta.
Benché le fiamme sviluppate avessero avvolto gli astronauti iniziando a fondere le tute e tutto quello che si poteva fondere all’interno del capsula, gli astronauti non morirono di ustioni, bensì per l’inalazione venefica dei fumi e del monossido di carbonio generati dalla combustione.
Tutto avvenne in soli 17 secondi, secondi interminabili preceduti dalle grida di dolore degli astronauti.

Alle 18,31 ora locale Grissom esclamò qualcosa come “hey” o “fire” e due secondi dopo Roger Chaffie dette l’allarme con la storica e agghiacciante frase: “Fire! We’ve got fire in the cockpit!” cioè “Fuoco! C’è del fuoco nella cabina!”
Le procedure di emergenza per liberare la cabina richiedevano 90 secondi, troppi per rispondere ad una situazione del tutto nuova e imprevista.

Il portellone della capsula, concepito per aprirsi verso l’interno e solo a cabina depressurizzata condannò i tre uomini alla morte e li consegnò alla storia come i primi (e purtroppo non ultimi) astronauti NASA deceduti in missione (sebbene quella di Apollo 1 fosse in realtà un’esercitazione, poi trasformata in missione ufficiale per onorare la memoria del terzetto).

L’incidente gettò molti dubbi sulla possibilità di realizzare l’obiettivo fissato dal compianto Presidente Kennedy di raggiungere la Luna prima della fine del 69. La NASA sequestrò ogni cosa intorno all’area di lancio ed istituì una commissione per fare luce sulle cause dell’incidente. 
La capsula Apollo fu riprogettata nuovamente e vennero risolti 1407 problemi di collegamento, la pressurizzazione non fu più di 14 kpa sopra il valore di pressione atmosferica, ogni cavo, elettrico o idraulico fu rivestito di isolante e tutti quello che poteva incendiarsi venne sostituito con materiali totalmente ignifughi e soprattutto il portellone di accesso fu riprogettato per aprirsi verso l’esterno.

(foto NASA)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(le tombe degli astronauti: Grissom e Chaffee sono sepolti ad Arlington, White a Westpoint)




20 anni fa, il T75!

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(foto E.Bianchi)

Anniversario del primo volo del T75 – Accadeva 20 anni fa!

Il 7 dicembre del 1996 è un giorno che difficilmente dimenticherò. Anzi per la verità è tra i giorni più indimenticabili della mia vita.
Con un certo orgoglio e la giusta dose di nostalgia, oggi ricordo quel pomeriggio di 20 anni fa come qualcosa di veramente speciale.
Dopo qualche mese di calcoli, misure, simulazioni e assemblaggi, finalmente, il pomeriggio di quel 7 dicembre, insieme agli immancabili Diego ed Enrico, la prima versione del T75 si trovava sulla sua rampa, pronta per il decollo.
Di quel sabato di 20 anni fa, di un dicembre debbo dire molto meno freddo di quello contemporaneo (o forse a 21 anni il freddo lo si percepisce semplicemente di meno), rimane la grande euforia dell’allestimento, della preparazione e del lancio stesso e soprattutto la spensieratezza di un gruppo di ragazzi ventenni e poi…bastò un “Cielo d’Ottobre” cinematografico a fare il resto!

L’esito del volo fu semplicemente catastrofico, ma non privo di significato. Da questo fallimento ripartimmo con le idee molto più chiare e maggior determinazione.

Da quel volo fallimentare nacquero poi tutti i progetti tribooster e single-tube, la rampa telemetrica, la strumentazione di bordo sull’NGT75, il “pannellone LED”.
Tutto quello che oggi rappresenta octobersky.it  per me, parte da quel giorno e fissa alcuni personali risultati, come il poter guardare all’indietro la foto di un amico e ricordarmi che era accanto a me, allora come oggi. Nessuna esperienza personale può arricchire veramente se questa non è condivisa in amicizia. Lo spirito è sempre stato questo per me e negli anni mi ha portato a conoscere nuove persone, nuovi amici e ritrovare sulla mia strada anche chi avevo perso di vista.
Mauro Santoni, fra gli amici ritrovati, ha persino dedicato la sua tesi di laurea “agli amici del T75”.
La conoscenza e la successiva amicizia di persone come Luigi Pizzimenti, Paolo Attivissimo, Paolo D’Angelo, Roberto Beltramini e tutti gli amici di ADAA, ha probabilmente un’unica origine, quella che io oggi celebro come il 20esimo anniversario di un anonimo volo di un missile.
Avevo avuto un sogno, l’avevo inseguito.

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Yuri Gagarin

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Il volo umano spaziale ha inizio

 

il 12 aprile del 1961 il mondo ha cambiato volto. Ha assunto le sembianze di Yuri Gagarin, sovietico di 27 anni, pilota militare, primo cosmonauta, primo essere umano a bordo della prima “nave spaziale”, la Vostok.
Non è solo una mia opinione, ma è certo che il suo contributo all’esplorazione spaziale è stato fondamentale.
I Russi, già avviati nella conquista dello spazio e nello studio dei viaggi spaziali, della missilistica e dell’astronautica, posero le basi, con il lancio della Vostok di Gagarin, per la corsa alla Luna. Kennedy, spiazzato dall’impresa oltre cortina, chiese ai suoi consulenti scientifici quale impresa avrebbe potuto riscattare gli Stati Uniti. Il resto lo sappiamo, è storia.
Di lì a poco Alan Shepard sarebbe diventato il primo americano nello spazio. Certo avremmo dovuto aspettare il volo di John Glenn per parlare di orbite e “permanenza”, ma i 15 minuti di Shepard bastarono a Kennedy per lanciare gli Stati Uniti (e tutta l’umanità) verso la Luna.

Ed è lì, sulla superficie della Luna, che il ricordo di Yuri Gagarin fu lasciato dai primi due uomini che allunarono nel 1969, Neil Armstrong e Buzz Aldrin, poco più di un anno dopo che il cosmonauta era morto a seguito di un incedente aereo.

Gagarin: “Vedo la Terra! E ‘così bella! “

 

 




AstroSamantha…prime impressioni

Samantha Crisforetti è rientrata sulla Terra, stabilendo un nuovo record. E’ la prima donna astronauta europea infatti che ha soggiornato per più tempo nello spazio in una singola missione. Esattamente 199 giorni, 16 ore e 42 minuti.

Poco dopo il rientro, dopo aver “sgranchito” un po’ le articolazioni, ha rilasciato questa breve intervista, come udirete, effettuata da giornalisti non italiani.

 




Le esigenze dei molti contano più delle esigenze dei pochi – Leonard Nimoy, Mr Spock di Star Trek lascia la Terra a 83 anni

ngg_shortcode_3_placeholderNon ricordo esattamente quando tutto ha avuto inizio, ho però ben vivo il ricordo dei pomeriggi davanti alla TV, a casa dei miei nonni. Mio fratello ed io attendevamo con ansia spasmodica l’inizio di una nuova puntata e guai a perdersi la sigla iniziale – “Spazio, ultima frontiera, questi sono i viaggi…” –  Star Trek, che mito!
I miei nonni ci prendevano in giro…”cosa guardi quello con le orecchia a punta?!” – era il commento ora di mia nonna, poco dopo ripeteva mio nonno.
Ricordo che un anno, sempre in casa dei miei nonni, giravano delle orecchie a punta di gomma, come quelle di Spock, anzi , erano certamente quelle. Mia zia era riuscita a trovarle e ad usarle per una mascherata di carnevale…e qualche anno dopo mio fratello ripeté l’impresa.
Spock, con la sua logica, con la sua profonda fiducia nell’amico Kirk, la sua benevola tolleranza nei confronti di “Bons” (il Dr. McCoy) e quel sopracciglio pronto a sollevarsi davanti ad una illogica manifestazione del carattere umano.
Spock è Star Trek. Vedere Leonard Nimoy recitare altre parti mi è sempre riuscito difficile. Quella faccia, quei tratti così particolari erano perfetti per interpretare il vulcaniano per metà terrestre, alla ricerca continua dell’equazione umana.
Grazie a lui e a Star Trek ho sempre vissuto con lo sguardo proiettato verso il futuro e con in mente sempre i viaggi dell’astronave EnterPrise.
Il mio progetto missilistico T75 nasce proprio dalla parola Star Trek , Trek 75…dovevo infilarcela perché quello era il mio modo di “arrivare là dove nessuno era mai giunto prima”.

ngg_shortcode_4_placeholder83 anni sono un bel traguardo. Mentre Spock girava gli episodi della serie televisiva più famosa del mondo, degli uomini stavano veramente preparandosi per andare ad esplorare un altro corpo celeste, la Luna. L’ultimo episodio fu trasmesso poco più di un mese prima del lancio di Apollo 11.
Spock ha vissuto abbastanza per poter vedere realizzate molte delle tecnologie immaginate dal visionario Gene Roddenberry, il creatore della serie classica. Il cellulare degli anni 90 StarTac si apriva come il comunicatore trekky e il nome è quasi un plagio ,  l’auricolare che Uhura usava per “aprire un canale” oggi è l’estensione del nostro telefono in versione Bluetooth…Anche nel campo della fisica delle particelle  l’idea del teletrasporto, seppur al livello moooolto embrionale sta dando i suoi frutti.
Leonard Nimoy e i suoi compagni di viaggio (il cast della serie classica) furono i testimonial della prima vera EnterPrise , il primo Space Shuttle della Nasa. Un esempio di fantascienza ricorsiva. Sembra di entrare in un paradosso relativistico!

Spock era lo scienziato di bordo e per un ragazzino appassionato di astrofisica e di missioni lunari quale il sottoscritto era (ed è!) ha rappresentato molto. Sapere che oggi non c’è più uno come Spock equivale a guardare nostalgicamente una foto di Carl Sagan o di Neil Armstrong. Se n’è andata un’altra, non solo mia, icona.
Se n’è andato un poeta, un attore, un regista, uno scrittore e, anche se non lo ha mai saputo, un amico e un mentore.

La sua opera e il suo ricordo continueranno ad ispirare le generazioni future. Addio Dottor Spock!